Le motivazioni che mi hanno spinto a trattare questo argomento ad aprire questo blog sono varie: ma quella principale è sicuramente legata
all'esperienza che ho vissuto da bambina. All'età due anni mi ammalai di leucemia una forma di cancro del sangue. Spero che nel mio raccontarmi possa essere un aiuto per i genitori che trovino dei punti comuni che li aiuti comprendere determinati atteggiamenti e
reazioni dei propri figli . Durante la mia malattia purtroppo non
esistevano associazioni che potessero soddisfare le esigenze, i diritti del
bambino ospedalizzato e quelli dei famigliari che lo assistevano.Non
esistevano strutture ospedaliere a misura di bambino e volontari che
potessero alleggerire rallegrare per qualche ora la giornata dei piccoli ammalati
ospedalizzati.
I genitori in quegli anni quindi dovevano lottare sia per far si che venissero rispettai i diritti del loro figlio e sia per poter superare il dolore legato alla consapevolezza che la malattia avesse invaso anche il loro bambino.Come scrisse Canevaro "Quando un bambino entra in ospedale è come se fosse portato nel bosco, lontano da casa.....".Per i bambini in generale e qui nello specifico per quelli oncologici-ematologici, è quindi molto importante lasciare dei sassolini, delle tracce, dei segnali che aiutino chi entra in ospedale e magari per la prima volta ad assicurarsi una via di uscita per ritrovare la strada che conduca al proprio mondo domestico, purtroppo divenuto improvvisamente lontano, remoto.Io cercherò quindi di affrontare con voi quale potrebbe essere la strada migliore (attività ludica, educativa o psicologica) che possa aiutare il piccolo ammalato spesso ricoverato in ospedale; di questo ne parleremo più nei particolare e più avanti.
RACCONTO AUTOBIOGRAFICO DI UNA ESPERIENZA DI MALATTIA....
Benché sia passato tanto tempo ( 1976) e benché fossi piccola (due anni ) essa è stata un'esperienza che ha segnato il mio vissuto anche se può sembrare impossibile che anche ora oggi possa ricordare gran parte di quei momenti interminabili.Il ricovero non è avvenuto nella città in cui risiedevo, le stanze dell'ospedale erano enormi e fatiscenti, mia mamma allora ventiseienne mi era sempre vicina e combatteva ogni giorno .Mio papà mi veniva a trovare appena poteva (a causa del lavoro) portandomi molti regali.Certamente in questa esperienza di malattia posso affermare che non sono mai stata sola e questo è ciò che ha contribuito anche in parte al mio processo di guarigione e di equilibrio psicofisico.Purtroppo, allora, non esistevano le associazioni di volontariato ,che potessero operare da supporto come avviene ora. Il letto d' ospedale in cui ero ricoverata si trovava in un grande stanzone insieme ad altri degenti anziani malati , affetti da altre patologie, con esigenze diverse, ma anche diverse reazioni verso la malattia.Non esistevano spazi per giocare, non c'erano persone al di la dei miei genitori o parenti che mi facessero giocare un po' quando ciò era possibile.I miei genitori dovevano lottare sia per far si che venissero rispettati i miei diritti di piccola malata , sia per superare il loro dolore psicologico causato dalla mia malattia. Le mie paure erano rivolte maggiormente alla terapie, alle punture più dolorose come ad esempio le sternali e le lombari. La presenza di mia madre fu indispensabile a far si che queste paure fossero pian piano superate e gestite da un atteggiamento più sicuro. Il suo essere vicina a me ha permesso che alcuni traumi mi fossero evitati. Nonostante la vicinanza a dei famigliari le mie esigenze di bambina ospedalizzata esistevano comunque.Sentivo il bisogno di giocare per potermi estraniare un po' dalla malattia e da tutto il contesto ospedaliero, l'esigenza di stare a contatto con altri coetanei, di ritornare alla mia vita di sempre, con la mai famiglia ed alla scuola materna con gli altri bimbi.La presenza dell'educatore e di un volontario, adeguatamente preparati, che affiancasse i miei genitori è ciò che è mancato nella esperienza che ho vissuto.Questo avrebbe certamente tutelato ulteriormente il mio processo di malattia sia dal punto di vista fisico, ma soprattutto dal punto di vista psicologico.La mia paura più grande era quella di affrontare le dolorosissime punture che inizialmente si svolgevano spesso, la sternale e la temutissima lombare, non sono semplici prelievi del sangue . Con un ago di circa 1cm mi bucavano o lo sterno o la parte lombare senza anestesia...per fortuna ora le cose sono cambiate infatti si usa dare un'anestesia.Tutto questo però fu reso meno tragico grazie alla presenza costanza di mia madre che allora aveva 26 anni .
cit: me stessa
cit: me stessa
UN GENITORE OSPEDALIZZATO: IL RACCONTO DI UNA MADRE CORAGGIOSA ...LA MIA!
Leucemia!!!Io non capivo perché , intorno a me, mio marito, mio padre fossero in lacrime:intuivo che doveva essere una diagnosi infausta , ma non sapevo fino a che punto.Chiesi così spiegazioni al medico.Mi rispose in modo frettoloso ed un po' irritato perchè un problema privato, richiedeva altrove la sua presenza.Così, nel giro di pochi minuti, mi scontrai con due terribili realtà.La prima , la più dolorosa, era la malattia di mia figlia: a 17 mesi soffriva di un male incurabile; la seconda ami fece entrare in un mondo, quello ospedaliero, che conoscevo solo superficialmente e che mi avrebbe riservato amare sorprese. Descrivere il dolore che si prova quando ti dicono che tua figlia ha solo poco tempo da vivere non è facile, si rischia di cadere nello scontato, nel pietoso e comunque è impossibile capirlo se non lo si sperimenta di persona.E' un sentimento così violento, così forte che si rischia di perdere la testa in un momento in cui, chi ha bisogno di te , ti desidera invece rassicurante e serena.Dopo i primi giorni di disperazione cercai di reagire perché non accettavo quella diagnosi, non era possibile che mia figlia morisse prima di me, non era nella logica della vita.Decisi di combattere cercando di informarmi sui centri più specializzati di questo ospedale.Era disposta a portarla ovunque: al Gaslini di Genova, in un famoso centro di Parigi, negli Stati Uniti d'America e, perché no, magari da uno sciamano : i viaggi della speranza non hanno un nome e spesso un reale vantaggio, per essere affrontati.Una cosa era certa: l'ospedale dove mi trovavo era carente sotto vari profili.Il medico che curava mia figlia era un giovane dottorino preoccupato più di far colpo sul primario giocando a tennis con lui, piuttosto che passare il suo tempo dedicandosi ai suoi piccoli pazienti o ad aggiornamenti in campo medico.A livello umano la situazione non era migliore."Sua figlia non arriverà mai a frequentare la scuola!".Questo era l'incoraggiamento che mi veniva dato.Oppure "lei è ancora giovane, coraggio , faccia un altro bambino!".Come se si potesse sostituire un figlio come si fa con degli indumenti.Il trattamento riservato a Federica era ancora più crudele.Avrebbero potuto somministrarle una pastiglietta anziché farle l'iniezione, ma la mancanza di professionalità e l'insensibilità di fronte ad un bambino che era comunque destinato a morire, faceva si che , ogni volta che entrava , un infermiere con la siringa in mano mia figlia svenisse.L'impotenza, la rabbia che si prova in quei momenti è indescrivibile!Per fortuna dopo pochi mesi, trovammo un centro in un 'altra città del Veneto, dove qualche bambino incominciava ad avere dei periodi di remissione (non guarigione) più lunghi che altrove.L'altra cosa importante che mi fece decidere per il cambiamento fu l'umanità che riscontrai tra coloro che incontrai in quel vecchio edificio fatiscente, un lebbrosario del 600, che veniva chiamato dagli abitanti di quella città "l'anticamera della morte".Non esistevano la figura dello psicologo , a quel tempo nel 1976, non era ritenuta necessaria. Per fortuna quel giovane gruppo di medici, guidati da un anziano primario napoletano, aveva intuito quanto invece fosse importante curare anche l'aspetto mentale sia dell'ammalato, sia dei famigliari, specialmente quando il paziente è un bambino.A mio avviso, è importante che un genitore sia presente anche nel momento in cui al piccolo vengono effettuati accertamenti come ad esempio l a sternale e la lombare.Allora era severamente vietato ai genitori entrare nell'ambulatorio medico durante quegli interventi.Io mi battei per poterlo fare dato che ero fermamente convinta che per mia figlia sarebbe stato un supporto psicologico indispensabile.Lei sapeva quanto l'amassi ed in cuor suo, anche se piccolina, credo intuisse che non avrei mai permesso a nessuno di farle del male in mia presenza.Le spiegavo che quelle cose dolorose che era costretta a subire senza anestesia le venivano fatte per il suo bene per aiutarla a crescere.Poi la stringevo fra le mie braccia e lei si calmava. Mi ero promessa di spiegare in poche righe la mia esperienza di mamma ospedalizzata , ma i ricordi e le emozioni hanno avuto il sopravvento. Ora che è tutto superato sono felice di vedere mia figlia dedicarsi ad altri bambini che vivono la sua stessa sofferenza.
cit:mia mamma
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