martedì 19 marzo 2013

ASSISTERE UN MALATO SENZA ANNIENTARSI.








Chi è al di fuori della malattia non sa cosa significa assistere un malato oncologico. Essere un "familiare accudente" significa anche offrire sostegno emotivo, declinato in modi diversi a seconda  dall'età del paziente  dello stadio di avanzamento della malattia. All'inizio, il parente accudente aiuta il malato a superare lo shock cercando informazioni, contattando professionisti e strutture, rassicurando e confortando. Poi, accertata l'entità  della malattia, il sostegno si traduce in compagnia, elaborazione psicologica del senso di smarrimento e paura.L'accudente funge da spugna dei malesseri emotivi del malato, accogliendo ogni atto emotivo e restituendo forza e coraggio.Tutto ciò  per  chi accudisce, influisce molto  in termini di energia fisica e mentale, di tempo, con grosse ricadute sul lavoro personale e sulla famiglia, sull'organizzazione generale, infine sulla salute stessa dell'accudente. Alcuni studi dimostrano che, dopo un certo lasso di tempo, lo sforzo d'aiuto può  pesare al punto tale da produrre sintomi depressivi, perché  entrano in gioco altri processi, più  nascosti ma molto potenti, che trasformano la malattia in una gabbia, dalla quale uscire   diventa difficoltoso.Ad esempio, quando l'accudente e' una persona giovane, senza una propria famiglia, senza un lavoro fisso, sembra logico a tutti che, in un sistema dove sicuramente ci sono più  persone, l'ultimo rimasto in casa si prenda il carico maggiore, a scapito della sua vita personale. Il giovane/la giovane di turno prova gran senso di colpa nel desiderare spazi di libertà , momenti di felicita' personale, quando in casa c'e' una malato. Per cui impara a "rimuovere la naturale gioia di vivere" e si concentra solo sulle esigenze altrui, grazie anche alle richieste esplicite presentate da parenti e vicini.Spesso sono donne le persone accudenti,esse hanno un maggior spirito di sacrificio che le può portare  a trascurare se stesse per chi sta male. 



Come affrontare la malattia di una persona cara senza cadere sotto i colpi dello stress?


Per prima cosa, creare una buona comunicazione con l'accudito, ovvero parlare chiaramente della malattia, responsabilizzare il malato circa le decisioni che riguardano la sua salute e accogliere con pazienza le richieste emotive e fisiche, dopo aver chiarito con se stessi fin dove, umanamente, ci si sente di poter arrivare. Meglio essere sinceri e rifiutare compiti insostenibili piuttosto che assistere chi soffre con ambiguità', ansia e rabbia.In secondo luogo, accettare la realtà  della malattia contenendola: la vita prosegue per tutti, e' giusto confortare un malato quanto prendersi momenti di svago, fare progetti, aver voglia di vivere. In questo modo si aiuta il malato a fare lo stesso, relegando la malattia in uno spazio contenuto della propria vita, mantenendo degli spazi vitali essenziali per ricaricarsi e quindi affrontare meglio le difficoltà. Se il malato o colui che l'accudisce possono ricaricarsi con momenti di vita e gioia, ogni battaglia e' affrontabile; al contrario, annegando nella malattia, molto meno!Il supporto psicologico per i chi accudisce rappresenta un passo fondamentale  significa riconoscersi il diritto a ricevere aiuto per l'aiuto dato; e' uno spazio dove poter parlare liberamente di tutte le emozioni in gioco, dalla paura di morire alla rabbia, all'ansia per il tempo che non c'e', al timore di incrinare i rapporti affettivi, un luogo dove parlare del proprio destino e chiedersi quale sia il modo migliore per aiutare chi amiamo senza autodistruggerci.



FONTE PRESA DAL WEB E DA ME STESSA.

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